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Reportage: australiani, gente povera

Reportage: australiani, gente povera
Autore: Giulia Perconti - Redazione Esteri
Data: 02/10/2014

 Welcome to Australia, land of opportunities!”. E’ così che un amico mi ha dato il benvenuto, il mio primo giorno a Sydney. Terra di opportunità. E’ vero, soprattutto negli ultimi tempi, l’Australia è diventata la nuova America, il posto dove sognare un futuro roseo e splendente, pieno di tutto quello che qui, nella nostra povera Italia, non c’è. Eppure, si sa, anche il Giardino dell’Eden, alla fine, si è rivelato una fregatura.

Nata come colonia inglese alla fine del Settecento, Sydney esisteva in realtà già da parecchio tempo. L’area, così come il resto dell’Australia, era già abitata dagli aborigeni, veri custodi del continente. Conoscevano la terra a memoria, parlavano con gli animali, seguivano le stelle e sapevano orientarsi in mezzo al deserto. Lo facevano da quarantamila anni, finché, un brutto giorno, arrivarono questi strani uomini bianchi con le loro armi, la loro cultura e le loro malattie. E il paradiso finì.


Ad essere onesti, non fu facile nemmeno per gli europei. Arrivati in una terra troppo lontana per poter tornare indietro, non conoscevano il posto. Inoltre, la maggior parte di loro non era libera. Inizialmente, infatti, l’Australia venne utilizzata come luogo in cui scaricare i detenuti delle carceri, diventate troppo piccole per tutte quelle persone. Comunque, sterminati gli aborigeni e costruiti i primi edifici, la colonia crebbe e nel giro di poco più di duecento anni divenne una delle più moderne città al mondo. Quello che è oggi.

Sydney si estende su una superficie di circa dodicimila kmq. Può sembrare un’esagerazione, ma vi rientrano anche i quartieri più periferici che, ormai, vengono considerati parte della città a tutti gli effetti. La popolazione è un bellissimo mix di centoquaranta diverse nazionalità: neozelandesi, brasiliani, peruviani, koreani, cinesi, giapponesi, indiani, arabi, francesi, spagnoli, irlandesi, tedeschi. E italiani, naturalmente.

Già, i nostri connazionali hanno dato una bella mano a Sydney. Abbiamo contribuito alla costruzione dell’Harbour Bridge, il ponte con l’arco più ampio del mondo, ed oggi riempiamo la città con un’infinità di ristoranti, bar e quant’altro. In più, nei loro musei troneggia la nostra arte. Basta andare all’Art Gallery of New South Wales ed ammirare i nomi di Tiziano, Raffaello, Giotto (e non solo) incisi in grande, in alto. Ennesima prova del fatto che non esiste luogo sulla terra che non sia stato sedotto e conquistato dalla nostra arte.

Nei musei potete ammirare anche l’arte aborigena. Un’arte piena di colori e forme vivaci che racconta forse nel modo più vero questo continente immenso. Questa è l’unica arte a potersi dire realmente nativa, così come gli autori, unici veri figli di questa terra rubata. Oggi molti aborigeni vivono nelle zone interne del Paese e i loro nomi vengono esposti nelle gallerie o nei negozi d’arte. Qualcuno suona per le strade di Sydney strani strumenti tribali e qualcun altro sulle strade fa la fame. Gli australiani (i veri australiani) sono gente povera. Sono tanti infatti gli homeless, i senzatetto (aborigeni e non) che occupano le strade di Sydney. E’ sconcertante scoprire che la povertà e il disagio colpiscono anche questo paradiso terrestre e la domanda sorge spontanea: perché? Lo Stato aiuta i cittadini disoccupati e gli stranieri che non ottengono uno sponsor lavorativo non possiedono il visto per rimanere sul suolo australiano. Quindi, chi sono questi sfortunati? Qualcuno dice che è una scelta di vita, una condizione volontaria. Che dire, risulta sempre difficile credere che un uomo possa volontariamente dormire sui marciapiedi.  

Per il resto, bisogna ammetterlo, Sydney è una città che funziona. Non dotata di metropolitana, offre autobus, treni, taxi e traghetti, puliti e funzionanti. Anche se… Il fato ha voluto che io capitassi in città in un periodo di cambiamento. Al posto dei soliti biglietti è stata infatti messa in vendita la Opal card, una carta ricaricabile necessaria per i trasporti pubblici. Il funzionamento è molto semplice: va passata su uno speciale lettore quando si sale e quando si scende dal bus, traghetto o treno. In base alla distanza coperta il sistema calcola la tariffa e sottrae il denaro. Facile, economico, comodo. I cartelli parlavano chiaro: dal 1 settembre non sarebbero più stati in vendita i biglietti tradizionali e la Opal sarebbe stata utilizzabile. Peccato però che i lettori della carta non fossero stati installati su tutti gli autobus. A quel punto, quindi, diventava questione di fortuna. L’autobus che mi serve sarà un Opal bus? Molte volte la risposta era no. E lì allora la fortuna andava richiamata in campo, perché tutto dipendeva dall’autista. Tanti dicevano non preoccuparti, sali. Altri, più pignoli, non ti accettavano sul mezzo. “Che sarà mai”, direte voi. In Italia i mezzi neanche passano. E’ vero, per carità. Ho sorriso del problema proprio perché l’ho vista come una cosa un po’ nostrana, un po’ come a dire “ Devi fare questa cosa, ma io non ti permetto di farla e se non la fai ti faccio la multa”. Un controsenso molto made in Italy. D’altro canto, a Sydney esistono anche i free bus, gli autobus gratuiti. Passano solo in determinati giorni e in determinate fasce orarie, ma passano e ti portano gratuitamente ovunque vuoi. Sì, lo so, sembra fantascienza.

Se tutte le strade portano a Roma, tutti i mezzi pubblici (o quasi) di Sydney portano a Circular Quay. Punto di partenza per bus, traghetti e treni, è anche il luogo da cui ammirare le tre principali attrazioni di Sydney: l’Opera House, a destra, l’Harbour Bridge a sinistra e l’acqua, ovunque. L’ Oceano Pacifico s’insinua nella città rendendola unica, riflettendo luci e colori senza però prevalere su niente. I cittadini e i turisti passeggiano serenamente a due passi dalle onde e tutto sembra un film. A proposito, se volete una pausa pranzo all’aperto, non mangiate sulle panchine o sull’erba. Rischiate di essere attaccati da uno stormo di gabbiani affamati e parecchio aggressivi. Ho visto il mio burger sparire in meno di dieci secondi. Altro che film di Hitchcock.  

Comunque, i sydneysiders sanno come godersi la vita. Pur essendo una metropoli, Sydney non è frenetica come la sua prozia Londra. Durante le pause pranzo i lavoratori vanno al parco o sulla baia e tra gli hobby più diffusi c’è la pesca. Attenti alla forma fisica, non è difficile trovare mamme o papà che corrono spingendo i passeggini. Come unire l’utile al dilettevole. Paragonando il loro stile di vita e il nostro, non riuscivo a capire. Ma non lavorano questi? Poi, parlando con un’amica, ho capito. Il segreto sta nella totale assenza di ansia per il lavoro. Mi spiego meglio. Un licenziamento non diventa una tragedia, perché è facile trovare un altro impiego. Il sistema e gli orari sono flessibili e permettono alle persone di lavorare per vivere e non vivere per lavorare. Ho conosciuto un cinquantenne che di mestiere fa l’insegnante di educazione fisica. Qualche anno fa si è rimesso a studiare e si è laureato in legge. Insomma, non è mai troppo tardi.

Quando cala il sole, Sydney offre davvero tante possibilità. Di ristoranti ce n’è proprio per tutti i gusti, dal Korean Barbeque al brasiliano di Darling Harbour, la Trastevere cittadina (con le dovute cautele, ovviamente. Trastevere è più bella). Generalmente si cena presto, alle ventuno è già tardi. E di conseguenza, anche i club, le discoteche, non rimangono aperti a lungo. All’una e mezza di notte già non si può più entrare o rientrare. Per tornare a casa, basta prendere un taxi. All’uscita dei locali si trovano infatti intere file di tassisti che aspettano clienti più o meno ubriachi. I mezzi pubblici non passano più e la macchina la prendono in pochi.

Se non soffrite di vertigini, provate il bridge climbing, l’arrampicata sull’Harbour Bridge. Per la modica cifra di duecento dollari potrete godere di un panorama davvero mozzafiato, sia di giorno che dopo il tramonto. L’impresa non è difficile, vi partecipano anche i bambini ed è praticabile in assoluta sicurezza. Più che arrampicata, sarebbe corretto definirla una passeggiata sull’arco del ponte. Ne vale la pena.

Insomma, Sydney è bella, ma è una metropoli che poco ha a che fare con l’idea di Australia che avevo. Immaginavo natura selvaggia, paesaggi mozzafiato, biondi surfisti e ragazze in bikini. E invece mi ritrovavo tra grattacieli di quaranta piani e ristoranti cinesi. E’ bastato allontanarmi di poco dalla città per trovare quello che stavo cercando.

Da Circular Quay partono traghetti per tutte le spiagge vicine a Sydney. Una di queste, forse la mia preferita, è Manly Beach. Manly significa virile e nessun altro nome potrebbe essere più adatto. Di surfisti, infatti, ce ne sono davvero tanti. Anche i ragazzini prendono lezioni di surf e affrontano le onde vicine alla riva, mentre i loro colleghi esperti si allontanano dalla spiaggia sfidando l’oceano e gli squali. Le ragazze vanno in giro con la famosa abbinata felpa-infradito, nonostante sia agosto e quindi pieno inverno. La strada principale della piccola cittadina, The Corso, è piena di negozietti, gelaterie, ristoranti e fontane e gli amici si ritrovano a due passi dalla spiaggia per un barbeque a base di falò ed alcool. Insomma, atmosfera da film hollywoodiano.


Se vi piace sognare in grande, spostatevi a Bondi, la spiaggia più famosa del continente. Le dimensioni cambiano notevolmente, e di domenica potrete trovare una folla agguerrita di abitanti e di turisti che, tra surf e fotografie, passano la giornata con i piedi nella sabbia. Imperdibile è la camminata da Bondi a Coogee, più di cinque chilometri a piedi sulle scogliere a picco sull’oceano. Sedersi sulle rocce e gettare lo sguardo sull’infinito è un esercizio che porta la mente a volare alto. Pensare di essere dall’altra parte del mondo rispetto a casa, che più lontano di così potresti andare solo in Nuova Zelanda e poi, pur continuando ad andare avanti, staresti comunque tornando indietro. Il punto estremo, fisico e mentale. Sono emozioni forti.

Poi c’è La Perouse. Affacciata su Botany Bay, luogo di approdo dei primi coloni, la località prende il nome dal Comte de la Perouse, comandante dei primi vascelli francesi ad arrivare nella zona. Di edifici praticamente non ce ne sono, è la natura a fare da padrona. Le rocce rosse ed arancioni sono levigate dalle onde che, testarde, s’infrangono su quelle rive da milioni di anni. E’ facile sentirsi piccoli davanti a tanta imponenza. E pensare che, chissà perché, ci reputiamo così invincibili.

La stessa sensazione la si ha sulle Blue Mountains. Chiamate così per come appaiono da lontano, le montagne blu distano circa 120 km da Sydney. Tralasciando la divertente esperienza del percorso nella foresta offerto da Scenic World Blue Mountains, è interessante soffermarsi sulle emozioni che può regalare un panorama del genere. Camminare a pochi passi da uno strapiombo di trecento metri permette di godere di un panorama mozzafiato. Il verde degli alberi incornicia le rocce aspre e dai colori caldi e i kakatua volano liberi sotto di voi. Non c’è pensiero che non possa esprimersi e non ci sono parole per esprimerlo. Solo una certezza: Roma sembrerà davvero tanto piccola in confronto a tutto questo.

Effettivamente, è vero, Roma appare così noiosa rispetto a certe immensità. Ma è anche vero che la lontananza, a volte, unisce. E mai ho pensato a quanto sia bella quest’eterna città come quando ero lì, lontana sedicimila chilometri. A quanto, nonostante tutte le violenze che subisce, rimanga comunque l’unico posto al mondo che io voglia chiamare casa. Quando mi chiedevano da dove vieni, dicevo Italia con un certo orgoglio. Perché tutti, tutti, sapevano esattamente dove fosse, anche se non c’erano mai stati. E quando poi, alla domanda da quale parte dell’Italia, rispondevo Roma, tutti mi guardavano con meraviglia ed esclamavano un “wonderful!”.

Eh sì, meravigliosa davvero. Sarei potuta rimanere lì a vivere. Decidere di trasferirmi e cercare fortuna laggiù, perché no? L’hanno fatto e lo faranno in tanti. Giovani che ammiro e che stimo per l’intraprendenza e il coraggio. Ma ho pensato, anzi ho sentito, che forse preferivo tornare e provare, anche nel piccolo, a cambiare questo bellissimo e terribile posto che io chiamo casa. Perché, come mi ha detto Fabio, siciliano emigrato a Sydney, qui in Italia siamo diventati inguaribili pessimisti. Allora ho pensato che se galeotti e disperati sono riusciti a costruire un grande Paese, noi qualche speranza in più ce l’abbiamo di ri-costruire il più grande Paese del mondo.

E fare in modo che un giorno un giovane australiano atterrato qui si sentirà dire “Benvenuto in Italia, patria di opportunità”.

 




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Cos'è uno Stato senza i cittadini? Nulla. Cosa sono i cittadini senza lo Stato? La risposta la conosciamo tutti, perchè lo Stato italiano palesemente, sta lasciando alla deriva la motivazione fondamentale della sua stessa esistenz



Data:10/08/2013
Categoria:Politica e Governo
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